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Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

Questo sonecto quantunche in compositione fusse ultimo [...] Francisco Acziapaczie supra li sonecti del Petrarcha

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Voi che ascoltate in rime etc.[RVF 1]

Questo sonecto, quantunche in composicione fosse ultimo, è in loco de exordio dal nostro excellen- tissimo poeta Messer Francesco Petrarcha primo ordinato. In lo quale se excusa ali ascoltanti la presente opera de amorosi sonecti e canzoni chiamati da lui rime sparse , quasi opera in uno stile non continouata, che entendeno loro il suon di soi sospiri in li quali sendo lui giove- necto se nutriva. Che ciò aveniva per lo dominio del suo non regolato appetito che, come gia suole, in quella età prevaleva. Perchè sperava ap- presso coloro che per prova de stimolose fiamme d'a- more gostato havesseno, non solamente debito di ciò perdono, ma iusta pieta. Ma ben vegio hor: Dimostra poi in questa muta che dovenuto esso in più matura età, e socto lo iusto imperio dela ragione, non con poca vergognia seco spesso vi- deva il suo già passato vanegiare esser stato volgare favola dele genti, come che ogni per- sona havesse di quello con schernevole riso pu- blicamente confabolato. Ultimamente vuol dimostrare dela sensoale vita dela soa isviata gioventù riconoscere lo primo fructo, qual è vergognia cio- è vergogniarse del tempo non bene e indarno speso

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Et così ancora di quello pentirse vien dal chiara mente conoscere la brevità de mondani fragili dilecti.

Era il giorno che al sole etc.[RVF 3]

In quisto primo sonecto ove descrive il dì de Veneri Sancto in lo quale se innamorò se innamorò di Laura il nostro poeta dricza alley il suo parlar, a la qua- le se ingegna excusare la soa inprodencia cola devocione et veneracione che meritamente si suole et deve a tal celebre et sancto giorno. Et incusa amore de viltò però che ferio luy di amorosa saecta disarmato et incauto, et ad Laura di somma prodencia et intesa honesta sempre armata non hebe di mostrarli il suo arco pur ardimento. Però dice: o donna era il Veneri Santo: dì des ogni continencia et devocione. Quando fui preso cioè pregione de la belta de begli occhi vostri. Et no me ne guardai: per lo divotissimo giorno del Veneri Sancto. Tempo non mi parea etc.: per la sopradicta cagione del sancto giorno in lo quale non se costuma temere de amorosi assalti. Dil tucto disarmato: cioè sencza al- cuno sospecto d'amorosa tentacione. Et aperta la via per gli occhi al core: allora sta aperta la via per gli occhi al core quando lo homo riguarda ogni cosa securo a buona fede et sencza sospecto d'alcun contrario. /: :/ Comon dolore etc.: cioè la passione del nostro redentore che è comone dolore de tucti cristiani. Però al parer mio etc.: qua incusa amore di poca baldancza che feriò luy in quillo stato, cioè stando securo, disarmato et sencza alcun timore d'amoroso desio.

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Et ad vuy armata etc.: cioè ad vuy, Laura, armata di prodencia et honestà. Non mostrar pur l'arco: cioè ne havess al meno facta accorta che io fosse stato di voi inamorato. L'arme con che amor saecta è mostrare la donna al uomo et lo huomo ala donna et con quella vista se imprime la sagecta amo- rosa neli nostri cori.

Per fare una legiadra soa etc.[RVF 2]

Narra in questo secondo il poeta il modo del cadimento de la soa racionale virtù. Onde è da savere che due volte amore con ogni soa versucia et arte la matina del veneri sancto in la chiesa de Sancta Chiara d'Avi- gnone assaliò il Petrarcha, cioè che due fiate presentò agli occhi soi la maravigiosa beltà de la luce de begli occhi di Laura, la quale fo in la prima vista di tal potere che vense et ligao li sensi exteriori del Petrarcha, il che contiene il precedente sonecto. Era il giorno etc.: lo secundo assalto di begli occhi di Laura di che se tracta in questo secundo hebe più potere che trovao il Petrarcha per volerse difendere turbato dal primo assalto et sbigoctito et così concolcao et vense ogne soa virtù quale per ultima defencione era alcore tucta ristrecta. Et però dice: per fare una legiadra etc.: amore per fare una notabele et degna vendetta de molte offese recevute dal Petrarcha quale erano per havere resistuto bon tempo ale in- vincibile soe forcze. Riprese l'arco: cioè un'altra volta

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ripresenta Laura quella matina agli occhi soi. In undi: per dimostrare che quisto secundo assalto fo puro quella matina del dì medesmo del Veneri Sancto. Celata- mente amor: cioè che lo Petrarcha non credeva nè vedeva che Laura così presto ritornando un'altra fiata se incon- trasse agli occhi soi. Perchè è da intendere che Laura dopo lo primo assalto cola soa vistaal Petrarcha passao dando la volta per la chiesa secundo le donne in simili lochi far costumano. In lo qual tempo stando il Petrarcha del primo assalto sbigoctito ordinava contro amorosi desii sue difese, et sopra ciò la virtù soa racionale era ristrecta al core per cacciare ogni amoroso pen- siero et impressione che la beltà di Laura in la prima soa vista la havesse inducta et figurata in la fan- tasia et, in questo fatigando, levati gliocchi de in- proviso se incontrò con quelli di Laura un'altra volta, per la potencia de li quali fo venta et superata la soa racionale virtù. Loco : cioè come amor vede il Petrarcha stare in quillo loco donde Laura ritornando lo dovea de improviso celatamente cola beltà de soi begli occhi assalire un'altra volta. Tempo: cioè cognoscendo amore debilitata la virtù del Petrarcha per la prima vista di Laura li par- ve tempo con lo secundo assalto, cioè con demostrare al Petrarcha un'altra volta Laura assay agevole possere la soa virtù vencere et superare. Era la mia virtù etc.: Dice il poeta che la soa virtù, cioè de la parte racio- nale, era ristrecta al core per fare la le soe ultime difese, quasi volendo dire che conoscendo esso li sensi soi exteriori esserno gia per la soa imprudencia conquisi da in-

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honesto appetito et venti. Intendeva in lo core dove è la sedia de l'anima in che è la parte intellectiva difenderse, cioè non dare consentimento a li disviati sensi, perchè lo più delle volte accade che l'uomo pecca con alcuno de sensi per la loro innata fragilità et è decto da teo- logi peccato veniale. Allora è mortale quando la ra- ione che è in l'anima dà a quelli consentimento, et questo è quel che intende dimostrare il nostro auctore: che luy intendeva non fare consentire la raione ala di- sordinata volontà. Per fare ivi: cioè in lo core ove sta l'anima in che è la ragione. Sue difese: et non consentire ali sensi abagliati d'amorosa passione. E negli occhi: quasi volendo dire che, sendo stata la ragione in lo core vincicta, voleva ancora dopo difendere li sensi exteriori; overo de tor- cerli dala visione di Laura, overo riguardando Laura con lo oportuno remedio de essa ragione non havesseno transcurso in disonesto appetito. Quando lo corpo mortal etc.: cioè in quel tempo che la mia virtù per difenderse era ristretta al core cioè in la se- dia soa perchè lo core è sedia de l'anima in la quale è la virtu racionale, quasi volendo dire che le parte exteriori de li sensi erano già vente. Lo corpo mortal là giù discese: cioè in lo core ove cioè in lo qual core solea spontarse ogni sagetta: cioè che nullo colpo d'amore havea in lo core del Petrarcha venta la ragione o concolcata giamay, ansi ce havea perduta ogne soa forcza. Quasi volen- do inferir che, quantunche amore più de mille fiate con ogne soa malicia havesse il Petrarcha assalito, non fo in luy però mai possere in alcun modo superare

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la soa racional virtù consentendo ali isviati sensi se no in tal punto cola virtù et forcza di begli oc- chi di Laura. Però turbata nel primero assalto: qua risponde a una tacita obieccione che se haveria possuto dire che la soa virtù possea stare così costante e forte in tal caso come altre volte gia fatto ha- vea contra amorosi assalti. Al che rysponde il nostro poeta che la soa virtù se vede torbata tanto et sbigoctita del primero assalto: cioè dela soma vista di Laura, secundo se lege in lo primo sonecto. Era il giorno etc.: che non hebe tanto vigor: cioè tanta forcza. Nè spacio: cioè tempo ad soccorrere ala virtù afflicta. E qua se dinota che poco inter- vallo fo dala prima a la seconda vista di Laura quando, havendo essa già dato la volta per la chiesa, se incontrò de improviso un'altra volta con lo Petrarcha. Che possesse al bisognio prender l'arme: dui diversi modi descrive il nostro auctore de la soa difencione contra le inside d'amore se la soa virtù non fosse venuta meno debilitata et sbigoctita del primo assalto. Lo primo quando dice: pren der l'arme; l'altro: overo al pogio faticoso et alto però è da intendere che prender l'arme è vo- lerse difendere contra de amore, le quale arme so la ragione opposita contra li sensi; et con quelle ardire stare costante in presencia de- la donna con lo qual meczo amor fiere et saecta, et con quelle vencere et superare ogne lascivo appetito d'alcuna humana beltà subito indocto. Fogir al pogio: è non volere fare experiencia de-

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la humana costancia ma con più securo modo fogire la presencia di quel meczo con lo quale amor vence et impera. Et cola salutifera con- templacione de la virtù cavare da la fantasia ogne sensuale ymagine nociva al bene operare et così meditando de le superne cose et per- petue scaczare dala mente ogne impressi- one de humana beltà fragile et caduca, le quale due necessarie defencioni non pos- secte osare il Petrarcha al bisogno per mancamento et torbacione dela soa racionale virtù. Dice: al bisogno: et bene perché non par poco bisogno dar soccorso ala virtù racionale pereclitante dal stracio: cioè d'amore, dal quale stracio hogie. Overo intende quel medesmo dì per dimostrare che, dal hora che la ragione fo dimessa dal suo imperio, amor lo straciona: overo ogie: cioè altro dì in lo quale l compose lo pre- sente sonecto. Quasi volendo dire che dal tempo che primo consentiò la ragione ala sensualità infino allora stava in contuione stracio. Dal quale vorrebbe et non può aytarme: cioè che la ragione vorrebe aytarme, cioè che cognosce il mio pericolare al che vorria soccorrere et non può perché è soverchiamente e di tal forma dal sviati sensi oppressa.

Quel ch’infinita providentia et arte[RVF 4]

Intende in quisto terczo il Petrarcha con la soa nobilis- sima arte excusare il bascio nascimento di Laura

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e quello non solamente dimostrare non gli essere stato in manicamento ma in summa Laude, et però comensa: quel che infinita etc.: descrive per circuicione in modo poetico il sumo idio, il quale dice che usò non poco ar- tificio in crear questo nostro e quel altro emi- sperio che è disotto annoy. Et mansueto più Giove che Marte: che quantunche siano tucti duo pianeti fo perciò notabil arte crearli di diversa natura et di varii effecti. Vegnendo in terra a luminar le carte: intendi per lo avenimento de Cristo Segnore in lo quale advento le profecie di sanicti profete scripte in le carte de la Bibia venero chiare et luminose, in lequale eran stata si lungo tempo velata la verità dela nostra indubitata fede. Tolse Giovanne dala rete e Piero: questo verso se construe per havere intelligencia vera. In questo modo Cristo glorioso tolse Giovanne, cioè in sua compagnia, et Piero, da la rete in sua compagnia, e fece parte alloro in cielo: volse a homini tali di bascia condicione et humile exaltarli insino al cielo. Di sè nascendo a Roma vuol dire che non volse il nostro redentor na- scere in Roma cità dignissima et superba ma più tosto in la provincia di Judea, humile et infima a rispetto di Roma et tucto questo per dimostrare a noy che luy amava la humilità et quelli sublimava sempre et exaltava sopra ognaltro stato, et così di tempo in tempo

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havendo questo sempre dimostrato il nostro summo redentore levare in alto la humilità, hora più largamente ha voluto in lo miracoloso nasci- mento di Laura quello a noy manifestare: che volse una tanta et tal donna quasi un sole cioè un lume di beltà et di virtù nascere in un pic- col borgo come quel di Valle Chiusain la quale fo nata Laura specchio de ogne beltà et honestà.

Quand'io muovo i sospiri a chiamar voi:[RVF 5]

In quisto quarto intende il Petrarcha dimostrare che le prime sillabe del dignissimo nome di Laura hanno accento de sì mirabil significato che com- pelle altrui a quello bon laudar et reverire, però il fine impone silencio per indegnità et insuf- ficiencia homana a tal che soe laude scrivere intendesse. E questo fine intendi per Apollo come amator del primo lauro, il quale se dis- digna che lengua humana presumptuosa vegnia ad parlare dil suo lauro. Quando muovo i sospiri etc.: descrive la voce homana come suole per circuicione, la quale si fa con lo movere del aere. Al nome che nel core me scrisse amore: cioè il nome di Laura che ben gli lo scolpio in lo core. Laudando s'incomincia: però che co- mensa da Lau prima sillaba. Da fore cioè de la bocca, poi che quel vento percotendo l'aera s'è convertito in voce. Vostro stato regal etc.: re: è la secunda sillaba dil nome di Laura

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nome di somma auctorità e grado, il quale fa il mio valore altre tanto ardito a l'alta impre- sa: cioè ad scrivere le altre virtù soe et sin- golar bellezze. Ta: che è l'ultima sillaba dil nome inpone taciturnità ad me, perché volere honorare col mio bascio dire tanta e tal donna è forma d'altre spalle che de mei pieghevole et fragile a tanto e sì soverchio peso. Et così raccogliendo le scripte sillabe di- remo Laurecta primo nome a puericia di Laura, come suole del più accadere che a pic- colini si fa il nome diminuito. Così laudare et reverire etc.: vuol concludere che a chi chia- ma il nome di Laura per lo sopra dicto modo sell'impara laudare laudare et reverire quello come alluy che troppo spesso lo dovea chiamare. Se non che forse Apollo etc.: qua conclude che Apollo come zelante dil lauro se disdegna che lengua humana ardisca operare quello che li accento del degno nome et divino di Laura insegnano.

Sì traviato è il folle mio desio[RVF 6]

In questo quinto il Petrarcha chiama matto il suo desio che seguia con disordinato appetito cosa legie- ra et del tucto scarca dogne sensoalità et non possendo mecterlo socto lo iusto imperio dela ragione era da quello violentemente a mor- te condocto. Sì traviato et etc.: dice il mio desio è traviato cioè fuor de via cioè fuor dela ragione. costei: cioè Laura. É di lacci etc.: vuol dire che vola- va perchè non era impedita d'alcuno laccio de

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mondani dilecti. Al lento correr mio: lento per lo soverchio et amoroso peso. Disse che il suo era correre lento per incarco de la sensualità e quel di Laura era volare per lo scarco di pe- nsieri vili et basci. Che quanto richiamando etc.: dice che perchè mille volte lo havesse richiamato ala per inviarlo per la strata sicura, molto meno lo ascoltava, nè ancora che lo havesse assay volte ponto et obgiorgato per metterlo in la via dela ragione. Nogli valea niente perchè era come ad sogiecto d'amore, naturalmente restio. O dargli volta: qua parla a similitu- dine di cavalli restivi ali quali se custuma quando non vuole andare per quella strata donde lo patrone vuole, se da volta per un'altra strata tornando puro in quella donde lo ca- vallo non volea passare, et conquesto tal volta riesce in pensiere al patrone. Così anche faceva il Petrarcha che dava volta al suo disio cioè lo mettea in amare cose virtuose et bone, overo forse altra donna, per toglierlo dal suo sfrenato volere. Però niente gli giovava. E poi che 'l fren per forcza etc.: finalmente conchide che dopo che il suo desio se ha per forcza a sè raccolto il freno, cioè poi che la volontà sommecte et impera ala ragione, esso se rimane in potere di quella che contra soa mortevoglia lo conduce a morte. Sol per venire a lauro: cioè a Laura, quasi volendo inferir che tanto

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impeto de la volontà contra la ragione fo sol per condure contra soa volontà il Petrarcha ad vedere Laura come principale cagione de soa morte. Onde si coglie acerbo fructo: onde: cioè dal quale lauro cioè Laura se coglie sdegni, disgracie, et mal accoglienze. Però dice che acerbo fructo che le piaghe altrui gostando afflige più che non conforta: che cioè lo qual fructo gostando: cioè sentir dil gusto dil suo acerbo sapore afflige: cioè dà affliccione et ardore a le altrui piaghe più che alcun conforto o refrigerio, perchè col- loro che senteno d'amorose faville così sono per soverchia passione da diverse punture ul- cerati et stimolati, le quale piaghe sogliono con dolci sguardi et belle accogliecze de la donna amata mitigarse et confortarse. Il che raro o mai adivenne al nostro Petrarcha che con bona grazia di Laura se mitigassero o adolcissero le soe piaghe, le quale quasi de contino per la torbata ciera di quella de incomportabile ardore se affligeano.

La gola, el sonno, e l´ociose piume[RVF 7]

In quisto sexto il nostro Petrarcha fa transgressione de la materia d'amore et risponde ad un docto scolaro in poesia et studiante in philosofia /:/: quale fo Johan Boccaccio dicendo che non per li inepti iudicii del mobele volgo volesse lamancara dala degna impresa

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dela nobele filosofia. La gola, il sonno e l'ociose piume: dice che li homini per prava costuman- cza con volere attendere ala disordinata go- la e al soverchio riposo e al de troppo deli- cate et ociose piume hanno scaczata dal mon- do ogni virtù. Onde è dal corso suo quasi smarrita nostra natura etc.. Onde: cioè per la qual gola et troppo sonno la natura nostra homana è smarrita, cioè ha perduta la strata del suo dri- cto corso quale è seguire la virtù. E questo per la lunga et mala consuetudine. Et è si spen- to ogni benegno lume etc.: seguita che per tal dannato costume ancora è mancata ogni benegnità et lume ver noi de li corpi superiori de li quali pigliava forma la vita nostra ho- mana. Et questo dice più per li poeti che na- scevano sotto la influencia d'una stella per virtù dela quale erano et nasceano poeti. Che per cosa mirabile se adita: chi vuole etc.. Se adita: cioè se mostra a dito per un miracolo quando ogi se vede un poeta perchè, como è detto per lo nostro mal costume, non influiscino la lor benignità ver noi li pianeti. Chi vuol far d'Elicona nascer fiume: cioè chi vuole essere poeta. Per circuicione scrive Elicona fonte in

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in lo monte Pernaso, lo quale fo trovato dalo cavalo de [...] zappando con pié sopra quel monte. Qual vaghecza : La turba popolare igno- rante dice che di Lauro cio et del mirto, non dè alcuna vaghecza secundo lor appetito, perchè non voleno studiare in lauro cioè in poesia et altri studii de homanità onde non possono acquistare in debita richecza. Et questo perché quelli studii recercano ingegno alto et peregrino che non si trova in huomo di volgo, ma loro amano et intendeno a quell'arte aiche baste lor obtuso ingegno et onde possino cavare mala- mente i denari. Et tal diceno che dela philosophia. pochi compagni: drieza questo ultimo parlare conclodendo ad messer Iohan Boccaccio et dice che per la soa via, cioè delo studio dela philosophia ed te la poesia, haverà poco compagni, cioè che pochi homini troverà disposti con ingegni spicolativi ala so nobele scientia. Et per tanto più lo conhortava et preava ala soa impresa magnanima de simili studii, quanto era acompagnato con pochi, perchè ogne virtù consi trova in pochi et rari homini

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A pie' di colli ove la bella vesta[RVF 8]

Manda conquisto sectimo il nostro poeta al Cardinale Colonna doe starne quale ha- vea luy ocellate in un pinecto socto le colli- ne de Val Chiusa borgo ove nacque Laura le quale introduce parlando al cardinale in questa forma. Appiè di colli etc.: noi libere passavam in pace per questa vita mortal che ogni anima desia sencza sospec- to di trovar fra via cosa che al nostro andar fosse molesta a pie' di colli ove la donna pria prese la bella vesta de le membra terreneche spesso desta dal sonno lacrimando colui che ne invia ad te. prese pria la bella vesta delle terrene membra. Questa è la costruccione. Il senso licterale è questo: noi passavamo questo viver nostro mortal, lo quale ogni animale desidera in pace, et sencza sospetto de alcun contrario impe- dimento al nostro vivere sotto le colline de Val- chiusa, in la quale primamente Laura se ve- stio la bella veste dele membra terrene la quale assay sovente rompe dal sonno con molte lacrime il Petrarcha, loquale così ligate cze manda ad te monsignore lo cardinale

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Ma del misero stato etc.: ma di questa pre- gione in la quale semo condocte. Da la vita alta etc.: cioè da la vita aerea serena et alta perche sono proprio degli ucelli. Et significa la liber- tà in la quale è vita alta et tranquilla. Et de la morte havemo: cioè de la morte che dopo questa pregione aspettamo indubitamente havemo un solo conforto che rimane: vende- cta di colui, cioè del Petrarcha, lo quale cze mena ad ciò: cioè pregione et po' a la morte che senczdo lui appresso al morire pregione in potere d'altrui: cioè di Laura. Rimane ligato con magiore catena che nuy non semo, perché catena amorosa ligame insolu- bile dal quale molto malagevole più che nuy scampare se porrà. Così finalmente poi serà condocto a morte.

Quando il pianeta che distingue l'hore[RVF 9]

Manda il nostro poeta conquesto octavo al medesmo m cardinale certi taratofoli per li quali fa somigliancza dala virtù et potencia dil sole, operativa in lo germi- nare et ingravidare de la terra agli ochi di Laura, quali con la simile virtù et potencia oprano quel medesmo in luy. Quando il pianeta etc.: per circuicione al modo usato descrive il sole, il quale sendo luy

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in le corna del thoro, segno del cielo che è in lo me- se di magio, opera con lo suo calore che fa no- vellamente da varii fioretti vestir la terra. Et no pur etc.: et non solamente opera tal fiorire che nuy vedemo di fuore, ma ancora inpregna di la soa virtù il terrestre humore dentro il corpo dila terra dove giamay se agiorna: cioè dove non è alcuna luce per la den- sità de la terra ma anchora che la luce del sole lì non penetre puro si ce passa il calore et opera la virtù solare. Onde tal fructo etc.: onde cioè ad ciò che tal fructo quale è questo che io te mando. Et semele: cioè deglialtri an- cora simili a questo se possano cogliere da la terra. Et nota che però dice che la virtù solare non solamente opera in lo germinare de fiori, che è manifesto al veder nostro, ma an- cora dentro la terra: il che nuy non possiamo oculatamente vedere ma mirabilmente cola potencia dil suo calore opera e ingranda, se- condo se dimostra per alcuni fructi che non escon fori de la terra como è il taratofolo et altri simil. Così costei etc.: così Laura opera et fa in me cola virtù et potencia de soi begli occhi come fa il sole a la terra, secondo è detto di sopra, la quale è fra gli altre donne un sole

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Crea d'amor pensieri etc.: li pensieri amorosi che Laura facea nascere in lo Petrarcha se comparano a li fructi li quali nasceno per la virtù dil sole sotto la terra che non se scerneno come li pen- sieri del core. Acti et parole etc.: li atti et parole passionate d'amore se comparano a li fiori de la terra quali se discerneno da tucti. Ma come ch'ella etc.: ma è adversativa e vuol dire che quel medesmo che 'l sole opera fuore e dentro de la terra operano fuore e den- tro di luy gli occhi di Laura. Eccepto che in que- sto oprano diversamente perchè il sole fa primavera in lo germinare et ingra- vidar de la terra, stagione allegra et tucta plena de speranza. Ma Laura in tal guisa go- vernava et volgerà verso il Petrarcha gli occhi soi che mai facea per luy primavera, cioè che may luy per lo volgere degli occhi di Laura, ancora che ne mostrasse acti et parole amorose, hebe nè allegrecza ferma nè speranza, d'alcun fin- cto certa. Quasi volendo inferire il Petrarcha che il sole in la terra et gli occhi di Laura in luy dimostravano semele et eguale potere, ma in questo solo se può notare molto magiore vigore la potencia de gli occhi di Laura che non quella de razi solari, perchè questi operava- no naturalmente in lo fiorir di la terra

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essere a tutti primavera, cioè ferma et indubitata speranza di fructo; ma quelli con tal arte et modo intranseca erano governati che si può dire supernaturalmente perchè ancora che [...]che gliocchi di Laura recassero in lo Petrarcha acti amorosi et parole, mai però in luy era primavera, cioè vera allegrecza o ferma speranza.

Gloriosa Colonna in cui s'appoggia[RVF 10]

Manda il nostro auctore questo nono al me- desmo Cardinale da Val Chiusa in lo quale dopo alcuna Laude descrive così in ge genere la condicione dil loco, per la quale lo intellecto se levava in contemplacione de le cose superne. Et così per li lamenti del rosigniuol il core se agravava de amorosi pen- sieri, le quali dolcecze erano inperfette per la so absencia. Gloriosa Colonna etc.: dice che la speranza de tucti cortesciani tali- ani che erano in Avignone in la corte del Papa che allora li faceva residencia era in luy. El gran nome Latino: vuol dire che tutta quella parte di terra di Roma dove lui havea la soa segnoria et grande parcialità in la quale anticamente foro li primi Latini

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ancora sperava in esso come allor difensore contra gli Orsini. Che ancor non torse etc.: vuol dire che per alcuna turbolacione di guerra, o d'altro che Dio o il Papa gli avesse mandata, non perciò havea torta la colonna dal camino vero, quale è stare dritta e guardare in su, cioè di montar in gloria et honore perchè le sue virtù erano state quelle che haveano resistito ad ogne aversità con le quale stava puro inviato di montare in fama et pregio. Qui non palaczi etc.: qui, cioè in questo loco dove nuy semo intendi che lo Petrarcha era con alcuni cortesczani là per lor diporto, non ce sono pa- laczi cole grande cortiglie et cole alte logie, ma invece di quelli ce so arbori belli et allegri et altissimi vicini ad un bel monticello per lo quale quanto scendemo o pogiamo an- damo sempre fando versi per li quali en- sieme cola delectevole vista degli altissimi pini il nostro intelletto se leva in la contem- placione de le cose superne: et perpetue. El roscignuol che dolcemente etc.: dice che lo roscignuol per la dolcecza di soi lamenti et pianti che fa la notte gli empie tucto il core dipensier piatevoli: et amorosi. Ma tanto bene etc.: ma tutta questa conso- lacione et bene, che nuy havemo così diversa- mente como è per la contemplacione et

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per li pensieri amorosi, tu la rumpe nel me- czo et fai la inperfecta per essere segnor mio da me lontano.

Lassare il velo per sole o per ombra[RVF 11]

In questo decimo il nostro Petrarcha dricza il suo parlare a Laura agravandose di lei et dil suo velo che li toglieva la vista di begli occhi e di biondi capelli velando il capo che prima portava discoperto. Lassare il velo etc.: o donna, cioè Laura, io non nè vidi mai lassare il velo nè per caldo nè per fresco dopo che amore vi fece accorta di me che ve amava tanto. Lo qual amare me toglie dal core ogn'altro volere. Mentr'io por- tava etc.: mentre che io portava li pensieri d'amore nascosti a voi, li quali hanno morta la mente per soverchio desio de voi, allora ve vidi piatosa in la vista. Ma poi che amore etc.: ma poi che amore ve fece accorgere che io era di voi innamorato allora ve copristiro i capelli et racoglistino lo sguardo in sè, quasi volendo dire che prima me guardavino quasi amorosamente per la simplicità e purità che era in voy, ma poi che amore ve fece cognoscere la malicia che era in me, del amore che io ve portava

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Voi copristino il biondo capo et racoglistino l'amoroso sguardo. Quel che più desiava etc.: dice che l'era tolto quel che più desiava, cioè lo vedere degli occhi et la vista de biondi capelli, il che operava tutto in un atto contra di luy il velo de Laura lo quale co- pria li capelli et scendeva tanto giù del bel fronte che ancora nascondeva gli occhi di Laura.

Se la mia vita da l'aspro tormento[RVF 12]

Dricza in questo undecimo il nostro auctore il parlare a Laura dicendo che, se lo vivere suo si può tanto riparare da l'aspro tormento d'a- more che veda essa condocta in età ma- tura, che allora amore li concederà tanto ardire che li sarà chiaro in quanta amaritu- dine habia passati gli anni soi per soverchia- mente amar lei. Di che speraria alcun tardo sospiro in aiuto del suo dolore. Se la mia vita etc. : dice che se la vita soa si può tan- to riparare contra li tormenti amorosi che per virtù de la vechiecza veda mancato il lume in qual che parte de begli occhi di Laura. Si capei dor fin etc.: et veda ancora li capelli bion- di dovenir bianchi per vechiecza. Lassar le ghirlande et li verdi panni: che so cose ap- pertenente et atte ad iovenette, et videsse f mancar quel robore iovenile nel viso di Laura lo quale è tanto altero et disdignoso che me

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vieta per troppo paura lamentarme alley de le pene et afflictione mei. Pur mi darà etc.: allora amore puro mi darà tanto ardi- mento che io li dichiari laqualità di tempi mei come li ho passati amaramente per soverchiamente amar lei. Et sel tempo etc.: et sela vechiecza in che se trovasse Laura è contraria ali facti amorosi non man- cherà essa almeno di soccorrere al mio dolore con alcuno suo tardo sospiro.

Quando fra l'altre donne ad hora ad hora[RVF 13]

Narra in questo duodecimo il nostro poeta che quando Laura, sendo con altre donne in compa- gnia, li faceva alcuno honesto et piacevole riguardo, quanto essa avanczava quelle di beltà, tanto ver lei cresceva il suo desio. Di che benediceva il tempo, el loco che primo la vede, et dice a l'anima che doveria molto ringraciar che fo posta in la degnità di tanto honore. Et già è per lei in sperancza de salir al cielo. Quando fra l'altre donne etc.: dice che quando Laura sendo in meczo d'altre donne ad hor ad hora: cioè a tempo a tempo, amor li venia ne- gli occhi, cioè di riguardar il Petrarcha honestamente

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quanto ciascheuna di quelle era manco bella d'essa, tanto cresciva il desiderio che inamo- rava il Petrarcha onde benediciva il loco, el tempo el ove et in che vede Laura perchè gli oc- chi soi mirarno sì alta cosa come essa et dice poi a l'anima soa che molto deve ringraciar dio Segnore che allora la fe degnia di tanto honore quanto fo ve- dere Laura, perchè da essa te viene un pinsiero amoroso. Che mentre il segui etc.: dice che mentre seguia il pensiero amo- roso che venia dalley et non da esso che era sensuale il suo pensiero, et quello che inducea Laura era tucto verso le cose superne, perchè quando il Petrarcha riguar- dava Laura tanto bella et tanto honesta se generava in luyun pensiero contemplativo al sommo bene dicendo se queste cose terrestre sono tanto belle, de le quale lo homo tanto se dilecta, quanto magior di- lecto deve essere in la fruicione di quel somo et indeficiente bene del eterno idio. Che mentre il segue etc.: cioè mentre seguia quel pensiero che li venia da Laura lo quale spegneva in esso ogne sensoalità lasciando quel general desiderio carnale et bascio et lo levava in la contemplacione

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del summo idio. Dallei te vien l'amorosa etc.: dice che da Laura venia l'amorosa legiadria, cioè un amore legiadro et alto verso le cose superne, lo quale indriczava luy al cielo per una via dritta, in modo tale che già andava luy de la sperancza per tal amorosa legiadria che venia da Laura. Altiero de salire in cielo, quasi volendo concludere finalmente che riguardando esso in la maravigliosa beltà di Laura, et cognoscendo in essa tante virtute come da degno exemplo, li venia pensiero alto degnio et tucto virtuoso per lo quale spe- rava salire al sommo bene.

Occhi mei lassi mentre ch'io ve giro[RVF 14]

In questo terciodecimo, che è di partencza, dricza il parlare il poeta nostro agli occhi soi exortandoli che siano ben accorti al ri- guardar de quelli di Laura in li quali debiamo pigliare col fiso et attento riguardare conforto di tanta lontanancza quanto hanno de passare perchè non sono de la per- feccione de li pensieri che solo per morte perdono lor conforto. Occhi mei lassi etc.: o occhi mei stanchi d'amorose lacrime io ve preo che siati accorti in lo riguardare

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degli occhi di Laura perchè amore ve sfida cola presta partita, per la quale io ne sospiro. Io non exorto in questo lo pensiero mio intrin- seco come voi perchè è di magior integrità et perfeccione che voi non sete, perchè la morte solo puo chiudere la via per la quale se conduce al porto di la lor salute, cioè ad Laura, ma ad voi per molto meno in- pedimento si può chiudere la vostra luce: cioè che per poca absencia gli occhi non fanno alcuno officio visivo a la cosa absente però, o dolenti occhi mei, prima che sien venute l'ore del pianto gia vicine, cioè dela parten- cza, pigliate mo al fine de la presente vista al- cuno conforto: però s'erà breve si per la presta partita si ancora per la lontanancza del camino.

Io me rivolgo indietro a ciaschun passo[RVF 15]

In questo quartodecimo dricza il nostro Petrarcha dopo la partita a Laura il suo parlare narrando li accidenti del primo camino. Io me rivol- go indietro etc.: dice che lui a ciaschun passo se volgea indietro colo corpo tanto stanco de amorosa passione che appena lo possea condure et in lo voltare riguardando ad Avignone ove stava Laura di quel aere si confortava tan- to che caminava avante, però lamentandosi molto. Poi repensando etc.: dice che dopo che cominciava ad caminare ripensava al bene,

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cioè ad Laura che lasciava. Et pensando al lungo ca- mino da Avignone in Italia, et al corto vivere homano, se fermava non possendo per soverchio dolore più andare avanti. Et così piangendo teneva gliocchi in terra. Talor me assale etc.: dice appresso che alcuna volta quando così amara- mente piangeva in meczo de pianti li occorreva un dubio: come le membra soe posseano vivere lontane: et separate da lo lor spirito, quale era Laura, con la quale era sempre lo spirito suo. Ma rispon- deme amor etc.: et in questo gli rispondeva amore ch dicendo che lo Petrarcha s'era scordato del privilegio degli amanti: li quali sono sciolti da tucte le hu- mane qualitate. Una de le humane qualità si è che lo corpo non può vivere sencza lo spirito et lo corpo de lo inamorato, come non sogietto a tal lege, può vivere sencza spirito perchè lo spi- rito de lo innamorato sta sempre cola donna amata.

Muovese il vechiarel canuto e biancho[RVF 16]

In quisto quintodecimo dricza a Laura il nostro poeta il suo parlare comparando se in lo cercare la si- migliancza di Laura al divoto et stanco vecchio che vien di lontana parte ad Roma per vedere il volto sancto. Muovese il vechiarel etc.: descrive con mirabil arte lo movimento del vechiarello

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da l'antica casa ove ha gia consomati gli anni soi da la quale partendose per l'ultimi dì del vivere suo se ne viene a Roma seguendo il desiderio per vedere lo volto santo, il quale dopo la morte spera vedere in cielo il volto divino del quale è similitudine il volto sancto di Roma. Così dice il Petrarcha ad Laura: o donna così vado io cercando tal volta fra queste donne milanesi quanto è posse- bele di vedere la vostra desiata bellecza et forma come va il vechiarel con desio ad Roma per vedere la sembiancza del summo idio, che è il volto sancto-.lb/> Et nota che questo sonecto lo fece in Milano do- po la partencza d'Avignione.

Pioveme amare lacrime dal viso[RVF 17]

In questo sexto decimo il nostro poeta dricza a Laura il suo parlare dicendo che lui piangeva amara- mente quando la riguardava per soverchio desio, ma che quanto lui la riguardava attentamente se acquetava il foco dil suo amoroso incendio. Poi al dipartire l'anima laguiva con molto pensiero. Pioveme amare lacrime etc.: dice a Laura che quan- do luy la riguardava amaramente piangea e con angosciosi sospiri. Per cui sola etc.: per cui cioè per la qual Laura io sono spartuto et diviso dal mondo, cioè che so' morto, o vero separato dal consorcio humano perchè luy l opiù stava in lochi solitarii et inabitati, overo diviso dal mondo, cioè che 'l mio vivere è differente da quello che fanno gli altri in lo mondo. Vero è che 'l dolce etc.: pioveme amare etc.

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Pioveme amare lacrime etc.[RVF 17]

dice a Laura che quando riguardava verso ley piangeva troppo amaramente cognoscendo essere per soverchio amore d'essa /::/e non per altro dal mondo separato: cioè essere dovenuto inhabele ad ognii affare et necessario pensiero a la vita mondana. Vero è che 'l dolce etc.: dice che era ben vero men- tre Laura con dolce riso lo riguardava et luy ne quello fisamente attendeva pur se acquetava il suo ardente volere. Ma gli spirti mei etc.: dice dopo che con atto soavissimo si vedeva per partencza di lei privare de la dolce vista di soi begli occhi, li spiriti soi vitali fredi et ghiac- ciati, quasi abandonati da ogni vigor et forcza natorale remanevano. Largata al fin etc.: dice che l'anima soa finalmente non possendo quieta resistere in lo corpo sencza veder ley, aperta et largata la porta con le chiave d'amore, se extirpava ofrendo per forcza dal core per seguir Laura. Amorose chiave etc.: sono il sover- chio desio d'amorosa passione verso la donna amata: lo quale fa via a l'anima che si parte dal corpo per un rapace et continouo pensiero verso la cosa amata. Il che se cognosce per la inhabi- lità del corpo ad ogne operacione necessario.

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Et con molto pensiero etc.: chiama molto pensiero il suo per la smisurata volontà et continoua co- gitatione verso di Laura, quasi volendo concludere che tolto esso dali dolci sguardi di quella rimanea morto. Et così, svelto dal suo core quel molto et principal pensiero di ley, il quale vivendo non se poria per altro togliere nè minoir giamay.

Quando son tucto volto in quella parte[RVF 18]

In questo xvii° sonecto dricza ad tercza perso- na il suo parlare il poeta dicendo che sendo luy in le parti de Lombardia et girando gli occhi verso la regione di ponente, ove è la cità de Avignone in la quale dimorava Laura, la ricor- dancza de la luce de begli occhi di quella le ardeva il cor tutto dentro. Onde lui per scampare da morte si toglieva di quella vista. Quando son tucto volto etc.: dice quando era voltato colo viso verso ponente in quella parte ove gliocchi di Laura faceano luce, cioè in Avignone ove essa dimorava, la memoria di quella luce, che era rimasa gia bon tempo in lo suo pensiero per quella vista, lo strugea tucto del dentro del core. Tucto volto etc.: Intendi cogli occhi et col pensiero però che sempre stava mezo

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volto in Avignone ove era Laura perche cze sta- va sempre col pensiero. Allora ce stava tucto quando ce riguardava cola vista la quale era sempre accompagnata dal pensiero. Io che temo del cor etc.: dice che vedendo lui per tal vista partiese il core, cioè l'anima soa vitale per andare ad vedere la luce de begli occhi di Laura. Et cognoscendo per tal partencza la fine de la soa luce, cioè de la vita soa, si toglieva di tal vista volgendo le spalle a quella parte di ponente dove havea gia tenuto il viso. In guisa de orbo etc.: cioè a modo d'un cieco, il quale camina et non sape, cioè non vede ov'egli vada, il Petrarcha se stimava cieco quando non tesi parteva da la vista di quella parte di ponente ove Laura dimorava. Così dinanzi etc.: cioè voltando le spalle al loco dove stava Laura fogia da la morte però che, quando ce tenia il viso, sentia il core per andare a la luce de begli occhi di Laura da lui partirse. La qual partencza saria stata potissima cagion de la soa morte. Ma non sì racto etc.: dice che non possea da li colpi de la morte sì presto fogir che il desiderio di quella luce non andasse pur sempre come già con lui solea. Tacito vo etc.: dice che dopo si partia di tal vista non parlava

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che le soe parole morte, cioè piatose et smorte per soverchia passione. Farian piangere etc.: cioè ogne gente che quella havesse entese si per lo sono, come per la continencia de esse, mossa da homana pietà haveria sparse amare lacrime. Et io desio etc.: et perché il suo desi- derio era che niuna persona havesse pianto per compassione accompagnando le soe lacri- me andava con silencio de la acerbità di la soa grande amaritudine, et voleva lui solo et non altri piangere per non mancare de la dol- cecza che dil suo pianto prendea. Come dice esso in quella parte: De le mei pene men no ne voglio una et in altro loco: perché in tale stato è dolce il pianto più ch'altri non crede.

Sono animali al mondo de sì altera etc.[RVF 19]

In quisto xviii° driecza il nostro auctore il suo par- lare a tercza persona dicendo che lui stava in la schiera:, è loco di quelli animali che per sim- plicità curati dala vaghecza del lume del foco se abrusciano in quello. Solamente dalloro in questo differesce, che lui cognoscendo lo effecto del foco e pur quello per suo destino seguendo se ardia. Sono animali etc.: dice che sono ani- mali al mondo de sì possente vista che ten-

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endola opposita contra il sole non gli offende, e di questi è l'aquila. Altri però che 'l gran lume: dice che so' animali de contraria natura che la lor vista si turba per lo lume de li razi solari, et per tal difecto escono dopo il sole verso la sera. Et de questi cotali sono i vipistrelli e le cevecte et altri simili. Et altri col desio etc.: dice che sono altri animali de altra vario natura da questi che vedendo la vaghecza del lumo del foco e stimando per simplicità et ignorancia in quello prendere al- cun dilecto se brusciano. Et de questi sono le farfalle in la quale schiera dice il poeta essere il loco suo per similitudine, che lui ancora se ardeva al lume de' begli occhi di Laura. Ch'io non son forte etc.: de- chiara la causa perché non era in la prima schiera de li animali de altera vista dicendo che la vista soa non era di tal forcza che possesse sostenire la gran luce de begli occhi di Laura. Et non so fare schermi etc.: appresso dice la cagione perche lui non puo essere in la schiera degli animali in lo secondo loco posti dicendo che non sapea far riparo a la potencia de la luce de begli occhi di Laura. De lochi oscuri, overo oscire di casa in ore tarde dopo il sole, volendo inferire che molto magiore era la potencia de la luce de begli occhi di Laura che quella

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che quella dil sole a la quale se resisteva con possanza d'altra vista overo con repari de lochi oscuri et de hore nocturne. Il che non se possea fare contra la potencia de la gran luce degli occhi di Laura. Però cogli occhi lacrimosi etc.: dice ultimamente come era necessitato per destino essere in la schiera de li animali posti in lo terczo loco et arderse in lo foco in similitudine di quelli. Solamente in tal atto diffe- reva dalloro inquesto: che quelli per ignorancia se ardevano in lo foco, et luy constretto dal suo destino d icerta sciencia in lo foco seguendo se brusciava.

Vergogniando tal hor che anchor si taccia[RVF 20]

In quisto xviiii° il nostro poeta dricza il suo parlare a Laura dicendo che alcuna volta per vergognia de non havere in sì lungo tempo descripte in rima le soe bellecze più volte incominciò a quelle voler depingere, l'altecza de le quale aghiacciao sì lo suo ingegnio et vense lo intellecto, che da tal impresa per non ba- stare se rimase. Vergognando talhor etc.: dice che tal volta vergognandose che infino a quel tempo avea taciute le altre bellecze di Laura in le soe rime et volendo di quelle scrivere ricorreva al tempo che prima la vede parendogli sopra ogn'altra bellissima et in tal modo che mai altra più le piacque giamai. Al tempo ch'io ve vidi prima etc.: questo dice perché il primo tempo che lui vede Laura stava sencza velo, in treze e 'n gonna, et vede la beltà somma de capelli d et degli occhi

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soi, la quale al [...] tempo che lui cominciava ad vo- ler scrivere la soa beltà non possea così chiaramente vedere perché portava il capo velato e il suo velo copria non solamente li capelli, ma ancora cola depen- dencia ascondea gli occhi di Laura. Ma trovo peso non da le mie braccia etc.: dice che lo peso de la beltà di madonna et l'opra eccellente pur di quella non era nè dalle soe braccia, nè da farse chiara ad altri et polita per la soa lima. Quasi volendo dire che a tal opra saria bisogno de ingegno più che homano. Però l'ingegno etc.: dice che lo ingegnio suo librando et stimando le soe forcze invalide et insofficiente a tant'aldo dire rimanea ghiac- ciato in modo che non possea alcuna cosa operare. Più volte già etc.: dice che più volte volendo par- lare dele laude di Laura non possette mai formare parola, ansi lo sono di quella rimanea dentro lo petto cognoscendo che non possea intonar tant'alto quanto bisogniava a la grandecza de la dignità di Laura. Più volte già etc.: pur replica che molte volte havea tentato de voler dire et ancora cominciò a far versi in laude di Laura di che rimaser venti et supe- rati et lo intellecto et la mano et la penna. In lo p- rimiero assalto: cioè in lo primo occorso dela insenità de le laude conveniente a Laura.

Mille fiate o dolce mia guerrera[RVF 21]

In quisto xx° dricza il Petrarca il suo parlare a Laura dicendo che infinite volte li havea profferto

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il core cioè lo dominio dela vita soa, ma che allei non gli piaceva stimandolo basscio e vile per essere troppo essa magnanima et altera. A la quale prova per verisimile argomenti il Petrarca come il core suo verrà meno rimanendo in magior colpa di ciò lei che esso Petrarca. Mille fiate etc.: dice a Laura che infinite vol- te li havea proferto il core lo quale come cosa bile et basscia ley altera et magnanima havea havuto sempre in disdegno. Et se di luy etc.: qua comin- cia ad volere persuadere et provare ad Laura co- me sencza la pace soa il core de isso Petrarca non poria da morte scampare. Et comincia col primo argomento che se altra donna sperasse havere la segnoria del suo core saria tal sperancza vana et fallace. Seguita appresso con l'altro argomento dicendo che lo core non può esser suo così come era da primo quando stava in suo arbitrio, perché lui disdegnando quel che a Laura no non piace: è necessario de non amare il suo core ansi de lo scaczar fore di sè come cosa odiosa a Laura et conseguentemente a sè. Dice conclodendo: Hor s'io lo scaccio etc.: che, se lui lo scacciava come cosa che natoralmente non può star sola, haveria quello smar- rito il corso natorale, cioè del vivere, perchè da essa non aspectaria alcun soccorso nè ad altri. Ancora che 'l chiamasse andar no vorria onde seguita che il cor suo verria di certo a morte. Che grave colpa etc. dice che gran colpa resoltaria di questo ad essa et ad luy, ma molto magior alley, perchè il core del Petrarca a- mava molto più essa che no il Petrarca.

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Se l'honorata fronde che prescrive[RVF 24]

In questo xxi° il nostro auctore risponde a certi soi amici , quali lo haveano pregato di certi versi a uno lor necessario. Et è questo tucto metaforico et de circuicione pieno, de lo quale il senso licterale è questo: che se excusa a quelli soi amici non pos- serli servire di cose poetiche per cagione che la soa Laura li havea disdetto et vetato lo studio de la poesia. Se l'honorata fronde etc.: cioè del lau- ro de la quale se coronano imperatori et poeti. Et è metafora che significa et se intende per Laura. Che prescrive etc.: cioè /: o comanda o impera termina l'ira di Giove quando tona perché in lo lauro mai spira folgoro. Et questa è soa dignità et proprietà. Non me havesse disdetta: cioè vetata. La corona: Cioè lo studio dela sciencia poetica, quasi volendo dire che Laura lo tenia tanto a disdegnio che luy havea habandonato lo studio di poesia. Lo lauro per metafora significa qui Laura et è honor et insegna di poeti. Esso, per iniuria ritenuta da Laura, non dava opera a la poesia de la quale lo Lauro è princepale insegna. Per dimo- strare a Laura a quanta iniuria se havea recata la soa disgracia, per la quale non voleva intendere a cose che per la significacione del nome parevano essere appertinente allei. Io era amico etc.: dice che luy era, cioè per lo passato, amico a queste vostre etc.: cioè non mei al presente. Dive: cioè le ninfe. Le quale vilmente etc.: cioè che li homini del mondo per vilità

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lassano lo studio de poesia et se danno a li studii de me- dicina et a le legi, con le quali sperano malamente come se vede aiutarsi et satisfare et quella vile cu- pidità de la male requisita moneta, e se danno alle mercancie osando fraude puro per la smisurata bra- ma de le malnate richicze. Ma quella iniuria etc.: cioè quella disgracia in che Laura mi tiene. Dal inventrice etc.: cioè da Pallas, che significa la sciencia, perché è chia- mata da poeti dea de la sapiencia et fo inventrice de la oliva quando sendo in altercacione con Neptuno de la riposicione del nome ad Athena che Neptuno gictò lo tridente et produsse un cavallo animale di battaglia. Et Pallas giettò la soa hasta et pro- dusse una oliva, che significa pace et habundancia. Et per quello impose il nome ad Atthena. Che non bolle etc. dimostra per comparacione a quelli soi amici lo dolore che have de non possere seguire lo studio de poesia. Propria etc.: perché nasciò poeta et inclinato da le stelle a la poesia. Cercate dunche etc.: puro per cir metafora fa conclosione a quelli soi familiari dicendo che troveno fonte più tranquillo, cioè poeta con più pace et ocio in lo suo studio. Perché luy havea carestia de lo licore del fonte d'Elicona, cioè de la sciencia poetica. Havea ben habundancia de licore de la- crime che luy per la già detta iniuria spargeva.

Amor piangeva et io con lui tal volta[RVF 25]

In questo xxii° il poeta dricza il suo parlare et manda il presente ad un suo singolar amico dicen- do che alcuna volta luy piangeva con amore ve- dendo esso fuor di soi laczi, ma hora che Dio lo ha- vea inducto in la dricta via rendeva a quello grazia

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et ch non si maravigliasse se, tornando luy a la prima soa vita, se gli havesse per lo cami- no trovato alcuno impaczo, perchè così si trova la via de la vera virtu. D'amor piangeva etc.: dice a quel suo amico che alcuna volta piangen- do amore piangeva anchor luy ensieme, co- gnoscendo per li effecti l'anima di quello essere sciolta da ligami amorosi. Et questo se di- mostrava per li effetti soi acerbi cioè contrarii ad amore e strani, cioè novi et non come l'o- sato amorosi. Overo che quelli effetti acerbi et strani fossero d'amore, tucto però saria una sentencia. Hor che al dricto etc.: al pre- sente che Dio Signore ha reducta l'anima di quello amico al dricto camino, cioè a la vita amorosa in la quale era da prima stata esso Petrarca col core et co le mani al cielo ringraciava Dio Signore humilmente, perché havea exauditi li prieghi soi benegnamente. É segnio che lo Petrarca, vedendo quel caro compagno havere lasciata o per disdegno o per altro la strada d'amore, havea pregato Dio Signore che lo facesse tornare a la dritta via d'amore. Et se tornando etc.: continoua il parlaro a lo amico dicendo che tornando esso a la vita amorosa onde era già partito se tro- vao alcuno inpaccio che non sende maravigli, per- chè così è aspra et dura la via de la virtù. Fossati: cioè impedimenti o de male attitudine overo

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o de terecze perSune come lo più dele volte sole ac- cadere a inamorati. O pogi: cioè per essere la namorata troppo altera et orgogliosa, ⟨o per invidia o gelosia da lei.⟩

Più di me lieta non si vede a terra[RVF 26]

In quisto xxiii° dricza lo auctore a soi compagni il parlare manifestandole la somma allegrecza che havia de lo ritorno ad amare del suo amico et così li exorta che debiano rendere debito ho- nor a quello che prima era deviato dal vero et virtuoso camino, allegando in questo il testo del Sancto Evangelio. Più di me lieta etc.: dimostra per similitudine de una nave scampata da grave tempesta la soa leticia o de uno che sendo co la capecza a la gola per appiccarse, quasi volendo dire che nè le gente liberate con la nave da mortal pericolo, nè quello che stando cola cap- ecza a la gola per dover essere inpiccato et è facto poi per grazia libero, se vede più lieto de luy giamay per vedere scenta quella spada a lo amico suo. Lo quale fece ad amore sì lunga guerra, quasi volendo dire che lo amico suo se havea scenta la spada, cioè la volontà acer- ba contra de amore. Et tucti voi etc.: exor- ta et avisa li altri amici del ritorno de com- pagnio al quale debiamo rendere honore come ad persona ritornata a la dricta via. Restor degli amorosi etc.: è segnio per questo che lo amico ritornato era bono tessetore et orde- natore de rime amorose, et così coloro ancora quali exortava il Petrarca ad rendere honore al

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recoprato amico. Che più gloria etc. con questa sentencia evangelica il Petrarca vuol dimostrare la iusta causa de la soa allegrecza et spingei li compagni ad lo honore del ritornato amico

Il soccessore di Carlo che la chioma[RVF 27]

In questo xxiiii° dricza il Petrarca il suo parlare et manda il presente a li segnori de Malatesta exortandoli a la obediencia di Sancta Chiesa et ad seguirla con l'arme in la conquesta di la Casa Sancta. Il soccessor di Carlo etc.: narra a li decti Segnori per più spronarli a la impresa de la cruciata come Re Roberto figliolo di Re Carlo havea pigliata la crociata. Il soccessor di carlo: cioè Re Roberto che soccedecte al Re carlo in lo Reame di la gran Sicilia. Che la chioma etc.: cioè che tene in testa la corona per soccessione del Re suo patre. Preso ha già l'arme etc.: dice che ha preso l'arme per rompere e concolcare le corna, coè la soperbia, a Babilonia cioè ab al Cayro cioè al soldano sognor del Cayro, lo quale tene Hyerusalem per forcza dove sta la Casa Sancta. Et a chi da lei se noma: cioè a tucti li maumectani. Al vicario de crysto etc.: cioè il Papa torna al nido cioè a Roma et se altro contrario non lo impaccia passerà per Bolognia per venir a Roma. La mansueta nostra etc.: cioè la ecchiesa militante. Abacte fieri lupi: cioè coloro che non si voleno trovare in favore de la Sncta Cro- ciata. Et così vada etc.: cioè così abbatuto vada qua- lunche disparte lo amor legitimo: cioè lo amor che legitimamente se deve da tucti cristiani a la

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Sancta Chiesa. Consolate lei dunche etc.: conclo- dendo gli dice che vogliano consolare la Chiesa perchè legitimamente ne son tenuti. Ch'anchor bada: cioè che aspecta loro et alti signori cristiani in fa- vore de la Sancta Crociata. Et Roma etc.: dice che mostrandono loro voler pigliar l'arme in fa- vor dil papa consolaranno Roma perchè il Papa per quello sende ritornerà ad Roma. Et per Jesù etc.: cioè pligliate l'arme in favor de la Sancta Chiesa.

Questa anima gentil che se diparte[RVF 31]

In questo xxv° il nostro auctore parla de l'anima di Laura la quale era oppressa sì da grave infer- mità che già era per partirse l'anima dal corpo. Et parla poeticamente come philosopho et non come cristiano, perchè vole che l'anima di Laura se fosse oscita dal corpo, fosse facta stella più chiara de tucte l'altre. Questa anima gentil etc.: dice quest'anima di Laura che se diparte cioè che credeva luy che se dovesse partire per la morte di Laura. Ansitempo etc.: cioè giovene. Se la su etc.: cioè in lo cielo de le pianete. Terra del ciel etc.: cioè serrà exaltata sopra tucti li cieli de le pia- nete. Luna Mercurius Venus Sol Mars Iuppiter Saturnus S'ella riman fra il terczo etc.: cioè in lo cielo del Sole, s'era scolorito il Sole. L'anime degnie: cioè l'anime de li homini degni et virtuosi le quale secundo li poeti doventavano stelle. Se si posasse etc.: cioè sotto lo sole che è Venus. Ciaschuna delle tre etc.: cioè Venus, Mercurio et Luna, seriano manco belle per la gran luce et beltà de l'anima di Laura. Nel quinto giro etc.: cioè in Marte, perchè sendo donna par che se disconvegnia

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dovere stare in lo cielo de Marte che è pianeta bellicoso. Ma se vola più alto etc.: cioè se va più alto che lo cielo di Marte, cioè in lo cielo di Giove, vencerà con la soa gran luce et la luce di Giove et de Saturno et de ogn'altra stella in simili cieli.

Quanto più me avicino al giorno extremo[RVF 32]

In questo xxvi° parla lo auctore coli soi medesmi pensieri vedendose andare a la vechiaya. Quanto più me avicino etc.: dice che quanto più intrava in l'anni più se accostava a la morte per la quale se abrevia et finisce la homana miseria tanto più cognoscea la velocità dil corso del viver nostro et la vana speranza che di quello havea. Io dico a mei etc.: onde luy diceva a li pensieri soi che per lo mancare che sentia et cognoscia de le forcze et vigore del corpo poco tempo saria più acto ad amore, perchè tal exercicio è da gioveni. Et essendo in la vechiaya ha- remo pace con vui pensieri. Gran guerra è de lo inamorato coli pensieri, perchè lo più delle volte non rescono. Perchè con lui etc.: cioè colo corpo che mancando la virilità et calor dil corpo vien meno anchora la sperancza in l'amore, la quale è cagione d'ogni tormento. El riso el pianto etc.: dice che tucte queste cose verranno meno, che son tucte ap- partenente et congiunte con amore. Si vedren chia- ro poi etc.: cioè quando saremo vecchio, perchè allora per non essere la ragione superata dai sensi et ancora per essa experiencia cognosceremo come lo homo

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per essere in dubio di quel che seguendo desidera più se avancza, perchè se l'omo fosse certo o del male a non posser mancare, o del bene, mai faria ope- racione virtuose, o per scampare da quello o per conseguire questo. Et come spesso etc.: et come molte volte l'omo desidera invano quasi volendo dire che poi che luy sarà in la vechiaya cognoscerà per la experiencia che harà veduta come spesse volte have sospirato invano, cognoscendo per prova la costancia di Laura infino al fine.

Già fiamegiava l'amorosa stella[RVF 33]

In questo xxvii° descrive il poeta come Laura gli venne in sonno et confortandolo gli donao bona sperancza del vivere suo et scampare da la soa infermità. Già fiamegiava l'amorosa etc.: descrive ad modo osato et poetico per circuicione l'ora del'alba. L'amorosa stella è la Diana. Chiamala amorosa perchè molti foro di lei secundo i poeti in- namorati, o perche Diana fosse ancho essa in- namorata. Et l'altra etc.: questa è la tramontana et chiamase da poeti Ursa Magior. La favola è che Giove se inamorò de Cinosura, la quale Iuno per ira de gelosia la converse in orsa, poi Giove per compassione la convertì in stella. Et sta in lo polo settentrionale chiamata da marinari la tramontana per la quale driczano lor viagi perchè mostra quasi essere immobele per la vicinità del'asse in che se volta lo cielo stellato. Venata era etc.: et per questo ancora se dinota l'ora del'alba in la quale le vechiarelle se

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soglione levare dal lecto et attendere al lanificio. et secundo i poeti l'ora del'alba fa resare in vero li soni, et però lo Petrarca disse havere havuta tal visione in l'alba Agli amanti pongea etc.: qua descrive la stagione qua- le se intende per la primavera, in la quale ogni ani- male più che in altra stagion dell'anno d'amore se re- consiglia. Quando mia spene etc.: cioè in la quale sta- gione et hora mia spene, cioè Laura, gionse nel core mio, cioè per apparicione. Già condocta al verde etc.: cioè reducta al fine dela vita soa. Et è metafora trac- ta da la candela che in lo pede se fa di cera verde et quando è tucta cosomata se dice comonemen- te condocta al verde. Così Laura per la grave infer- mità li apparse quasi vicina al fine de la vita. Non per l'osata via etc.: qua dechiara come fo in sonno, perchè non ionse nel core per l'osata via, cioè per la via degli occhi, ma per la ymaginativa. Che il sonno tenea etc.: cioè l aquale via osata, cioè gli occhi. Lo sonno gli tenea chiusi perche dormea et lo dolore de la infermità di Laura gli tenea lacrimosi. Quan- to cangiata etc.: cioè la spene mia, cioè Laura, da quel de pria, cioè da quello quando l'avea vista sana. Et parea dir etc.: cioè essa Laura parea che dicesse perchè pare che la virtù tua se perde per soverchio dolore credendo ch'io debia di questo mal morire. Veder quest'occhi etc.: cioè a te non serà tolto de vedere gli occhi mei, cioè che io non morerò di questo male.

Apollo s'anchor vive il bel desio[RVF 34]

In questo xxviii° dricza il suo parlare il nostro auctore ad Apollo preandolo per lo amor che altro tempo ha- vea portato a Laura che se di quello havesse ancor ricordo dovesse tornare un tempo sereno per pos- serno insieme veder lei.

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Apollo se anchor vive etc.: dice ad Apollo che se il bel desiderio, cioè amoroso, vive ancora de Daphne che fo delle parte de Tesaglia, et se per longhezza di tempo non se ha scordate le trecze bionde de ella Daphne che voglia colo suo chiaro viso rasserenare il tempo. Defendi hor etc.: lo pregha che difenda la fronde dil lauro, cioè essa Laura, overo lo dice per un pie proprio di Lauro, perchè è da credere che Laura per suo diporto quando era il dì sereno andava in qualche giardino, overa un pie di Lauro socto l'ombra del quale se stava ad piacere. El Petrarca dovea havere alcuna comodità di vederla et perchè dovea essere tempo torbato per lo quale Laura non possea andare a quel giardino e al Petrarcha era tolta la comodità di vederla. Preava perciò Apollo, che se interpetra il sole, che dovesse uscire fore et caczare ogne mala impressione da l'aere et asserenare il tempo. Ove tu prima etc.: tocca la favola de Daphne de la quale fo innamorato Apollo et seguendola et ella fogendo et al ultimo non possendo più a la ripa d'un fiume se raccomandò ad li dei, li quali per pietà la conversetero in lauro, al quale Apollo donò per privilegio et dignità che de le soe foglie se coronassero li poeti et li imperatori, et che may folgoro lo percotesse. Et per questo lo Lauro se è consacrato ad Apollo. Et po' fu inve- scato io: cioè che esso dopo Apollo se innamorò

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di Laura. Si vedrem per etc.: dice ad Apollo che poi che lui haveva fatto col suo viso il tempo sereno ve- dranno ensieme Laura in quel giardino sedere so- pra l'erba. Et far di le soe braccia etc.: cioè che lei sederò sotto il lauro et li rami del lau- ro in li in li quali se convertero le braccia de la prima Daphne faranno ombra ad lei medesmo, cioè che essa se chiama Laura et farase ombra de li rami del Lauro.

Solo et pensoso i più diserti campi[RVF 35]

In questo xxviiii° ramaricandose il nostro auc- tore dice che luy per celare a le genti la soa passione dimorava in lochi solitarii et diserti li quali, quantunche fossero aspri, puro amore in quelli sempre andava con luy [...] ragionando. Solo et pensoso etc.: dice che luy andava misorando li campi conli passi lenti, et è proprio da homo inamorato andare sem- pre pensoso et, o per la debilità dela soverchia passione, o che sia proprio de homo passio- nato andava coli passi tardi et lenti. Et gli occhi porto etc.: et andava con grande attencione se havesse visto in terra alcuna pedata de homini per nasconderse et fogire da quelli, ad ciò che non se fossero accorti de la soa passione. Altro schermo etc.: dice che

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che non trovava altro reparo a lo veder de le gen- ti se no stare in lochi solitarii, volendo per questo tacitamente inferire che la passione soa era tanto smisorata che ogniuno sende accorgeva in li acti et modi del Petrarca. Si ch'io me credo etc.: et perchè luy sempre costumava lochi solitarii, se persuadeva che quelli sapessero lo tempera- mento et modo de la vita soa. Ma pur si aspre etc.: però non sapea esso cercare sì aspri et inhabita- ti lochi che amore non andasse sempre con luy ragionando, cioè che sempre esso non fosse in amorosa passione di Laura, la quale non possea togliere nè mancare la solitudine et aspre- cza de lochi come togliea a le genti lo vedere del suo amoroso foco.

S'io credesse per morte essere scarco[RVF 36]

In questo xxx° se afflige oltra modo il nostro Petrarcha et dice che se luy non temesse che per fo- gire le pene amorose incorrere danno perpetuo luy se haveria cole proprie mani data acerba morte. S'io credesse etc.: dice che, se esso credesse per ammaczarse essergli tolta la passione sua d'amore, che luy lo faria et ammaczarase et lasseria il soverchio peso d'a- more. Ma per ch'io temo etc.: ma perchè dubita che saria un passare de uno pianto ad un altro pegio, esso se rimaneva così lasso in lo pianto amoroso in la vita afflicta, cioè da qua dal passo, cioè da qua de la morte, cioè che non se voleva ammaczare. Et meczo il varco etc.: cioè meczo passo da là de la morte cioè che meczo son morto

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quasi volendo dire che luy per tema di perpetuo danno non se amaczava ma rimaneva in vita lasso et disperato. Però remaneva meczo, cioè solamente col corpo vivo, et meczo [...], cioè passava da là de la morte, cioè che la volontà soa era sì prompta al morire per fogir noya che era già meczo passato di là del passo de la morte. Con- clodendo che luy rimaneva nè morto nè vivo, ma meczo morto et meczo vivo. Vivo, cioè col corpo. Meczo morto, cioè per la volonta che co- sì prompta et deliberata al morire. Tempo ben fora etc.: dice che saria tempo che la corda del arco d'amore havesse spinto in esso l'ultima sagetta, cioè mortale et finale, che l'avesse morto. Luy desiderava che amore lo havesse ammaczato perche non saria stato certo di perpetuo DANNO sendo morto per mano d'altri, ma havendose data morte luy era certo di pianto eterno et, perchè era in deliberacione et priposito de morire per fogire li amorosi incendii, desiderava che amore lo havesse morto. Nel altruy sangue etc.: lo quale strale d'amore era già bagnato in lo sangue de altri. Quasi volendo dire che la sagetta d'amore de havea amaczati tanti che ben possea ammaczare anche esso. Et io ne prego amore etc.: cioè che me ammacze Et quella sorda etc.: cioè la morte, che è sorda a li misereri, la preo che me chiame a se per- chè me have lassato depento del suo colore, quasi che luy stava sì pallido in vista come homo morto.

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Orso, e' non fur mai fiumi nè stagni[RVF 38]

In questo xxxi° driza il parlare et manda il presente ad Orso, suo amicissimo, dicendo che nullo impe- dimento hebe may a la vista soa di che più se lamentasse che dil velo che copria gli occhi di Laura et de la mano di quella, che era fatta uno scoglio contra il suo vedere verso gli occhi di Laura. Orso, e non fur etc.: dice ad Orso che nisciuno di quelli impedimenti che se dinotano in lo testo nè altro sì mai che di che esso più se agravasse che di un velo, cioè di quello di Laura, che adombrava et copria i begli occhi di quella et parea che a soa onta et despecto gli dicesse hor ti consuma et piangni: perchè io te nascondo la dolce vista degli occhi quali tanto de vedere desideri. Et quel lor inchinar etc.: et lo ba- sciar degli occhi de Laura o che li bassa per humilità o vero per superbia et disdegnio de no mi- rarme serà cagione farme ansitempo venir meno per qualuncha de le doe essa lo faccia. Et d'una bianca etc.: et dice che si dolea anche de la mano di Laura la quale era sempre così presta et accorta a farli despia- cere perchè ogni volta che in alcun atto esso possea vedere gli occhi de Laura che lo velo non havesse bastato subito la mano di quella soppleva a quello che lo velo non bastava, cioè ad togliere la veduta degli occhi di Laura al Petrarcha.

Io temo sì di begli occhi lo assalto[RVF 39]

In questo xxxii° dricza il suo parlare il Petrarcha

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ad Sennuccio suo coniuntissimo excusandose del no havergli scrip- to como è dovere in l'amicicia. Io temo si etc.: Sennuccio ha- vea pregato lo Petrarca quando se partì da Avignone una delle volte che le scriviesse spesso. El Petrarca glielo promese. Dopo partuto esso da Avignone per molto mesi dimorò che non scrisse ad Sennuccio: dopo pur scrivendole fo molto tardo. Sennuccio le risponde et reprendolo de la soa tardità, al che lo Petrarcha replica et manda il presente sonetto dicendoli la cause perchè era tardato ad responderli, la quale fo perchè luy era fogito da là colo corpo per non vedere gli occhi di Laura in li quali stava la morte soa. Et così ancora se ingegnava fogire cola mente la ricordancza di quelli et perchè scrivendo ad Senuccio che stava in Avignone ove era Laura se avicinava ad gliocchi di Laura col pensiero per questa cagione dice ad Senuccio che era stato tardo ad scrivergli. Onde comencia: Io tanto temo lo assalto degli occhi di Laura cioè quando me veneno in lo pensiere ch'io fugo loro: cioè di pensar in essi come lo piccolino le batteture dil suo maestro. E non pur adesso commincio ad fugir di quelli il pensiero et la presencia ma è bontempo ch'io presi Lo primo salto ad fogirli ma da hora inanczi: cioè da questa volta che per scrivere ad te me so avicinato et ricor- dato d'essi non sia loco: cioè non serà cosa quantunche difficile et spiacevole a la contemplacione homana in la quale io non mecta lo pensiere mio per alienarlo dal pensare in Laura. Per non scontrare li occhi soi, cioè che scrivendo in voi et pensando in voi per la vicinità me occorre et scontra in lo pensiero la memoria degli occhi di Laura la quale ha in me tanta forcza che me lassa fredo et ghiacciato come morto. Dunche se aveder etc.: dunche non vi maravigliate se io me volsi tardo ad veder voi , cioè ad scrivere ad voi, perchè quando l'omo scrive a lo amico par di vederlo et essere con luy

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perche lo fice per non avicinarme a chi me struge: cioè a laura che scrivendo a vuy me avicinava col pensiero a Laura che sta in Avignone ove voi ancho sete, et per questo forse non so fallere che con questo non si potesse iustamente excusare. Più dico etc. ma io te dico più, che per io tornare a quello che per timore più fugo et togliere dal core mio tanta paura quanta è de incontrare cola ymaginativa li begli occhi di Laura ove sta sempre la morte mia queste cose non furno legier pegnio cioè poca testimonancza et cestecza dela fede mia cioè de lo amore mio verso di te Altri vogliono che questo sonecto fosse facto in persona di Laura la quale stando in certo loco, et lo Petrarca sendo tardo et lento ad voltarse alley, se excusa con quello che in lo resto se contiene. [...]

Se amore o morte non dà qualche stroppio[RVF 40]

In questo xxxiii° il nostro auctore dricza il suo parlare et manda il presente ad uno dovenutoavarissimo specialme- nte de soi libri preandolo et exortandolo li voglia prestare alcuni libri necessarii al fornir de la soa Africa. Se amore o morte etc.: dice che se lo amore di Laura overo morte non gli dona impedimento a la tela no- vella etc. cioè a la opera che novamente havea comin- ciata. Et s'io me solvo etc.: cioè dal visco d'amore che me tiene bene stretto infine a tanto che yo agionga et as- embra l'uno vero coll'atro vero, cioè de Primo Bello Punico insino al Secondo che scrive Livio che tucti doi sono vere ystorie. Io farò forse etc.: io farò un lavoro sì doppio cioè che piglierò di quello che moderni han detto delo

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Secundo Primo Bello Punico et diquello che se può trovare dali antichi scriptori che quantunche io lo dica paverosamente per fogir la [...] te ne farò sentire la fama infino a Roma perchè sarà opera degna et exquisita. Ma però che mi manca etc.: ma perchè a fornir tanta opera me mancano le fila, è metafora se in- tende gli libri. Benedette per la dignità de la hy- storia. Che avanczaro etc.: li quale fila avanczaro a quel mio amato patre: questo fo un licterato homo, cioè patre di quello a chi lo Petrarca scrivea, et fo assay copioso de libri de hystorie, li quali libri pervennero per soccessione in potere di questo a chi lo Petrarca scrivea et [...] ad esso Petrarca molto avaro de prestarglili. Perchè tien verso etc.: et perchè tenea le mani molto strette ad prestarle libri contra il suo costume ch'era liberale lo pregava che le apresse, cioè che le fosse libe- rale ad prestarglili contra la osancza soa, la quale era stata de non volerglili liberale da prima ad prestar. Et dicele ultimamente conclodendo che se li presta decti libri vedrà reuscir dal Petrarca assay opera legiadra et bella [...] cioè de Primo Bello Punico: che in le compose luy l'Africa soa

Quando dal proprio sito se rimove[RVF 41]

In questo xxxiiii° narra il Petrarca come per la parten- cza di Laura dal loco ove habitava lo tempo se turbò. Quando dal proprio etc.: dice che quando l'arbor che amò Phebo in corpo humano, cioè Laura, se parte dal proprio sito, cioè da Avignone in alcuna villa per suo diporto, overo da la casa propria ad alcun'altra di soi parenti. Sospira et suda etc.: cioè se fa mal tempo. Volcano: è fabro di Giove et quando

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Giove fa torbare il tempo et vuol fominare alhora Volcano fa vento a la focina et fabrica li folgori a Giove, et però dice che sendo partita Laura da Avignone, ovvero da la casa propria, se fa mal tempo et Giove vuol folminare, che sendonce lei nol poria fare per lo privilegio che have il Lauro circa lo quale non spira may folgore. Il quale hor tona etc.: lo quale Giove hora che non c'è Laura tona et piove. Sencza honorar etc.: qua vuol dimostare che non tona per violencia de la stagione hyernale ma per la absencia di Laura, la quale an partendose de luglio faria così Giove folgorava come se de iennaro se partesse. Cesare se piglia qua per lo mese de luglio perchè luy se chiamò Iulio Cesare et impose nome al mese, et Ianio se intende per gennaro. La terra piange etc.: dice che la terra d cioé li homini de Avignione piangevano per la absencia di Laura per la quale è fatta gran tempesta in l'ayre, overo la terra piagnie: cioè che piove. El sol: cioè Apollo che era amico et affecionato a Laura per amor de Daphne convertita in lauro et dedicato alluy. Staria lontano, cioè che li novoli per la tempesta dell'ayre stavano opposti al sole et non percuteva in la terra coli soi raczi. Alhor riprende etc.: et così ancora quando le tempesta fo in l'aere. Saturno et Marte: pianete crodele et tempe- stose se caczano fore ad aumentare et man-

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tenere la tempesta. Et Orion armato etc.: Orion è una stella che genera molta tempesta in l'aere et Eolo a Neptunno et a Gionon torbato etc.: Eolo è Re di venti, et alhora se fa sentire torbato da Neptuno, cioè dal mare perchè Neptuno è dio del mare, et da Iunone, cioè dal aere perche Iunone è dea del aere. Et a noy quando si parte etc.: et dice che anche generava et commovea i venti in esso Petrarca, cioè che luy per la partencza di Laura assay sospirava.

Da poi che 'l dolce riso humile et piano[RVF 42]

Inquesto xxxv° descrive il Petrarca come per lo ritorno di Laura il tempo era tornato sereno. Da poi che 'l dolce etc.: dice da po' Laura non asconde le soe bellecze, cioè dopo che ei ritornata et descrivela ad modo poetico per circuicione. El dolce riso etc.: significa essa Laura per circuicione. Bellecze nove etc.: che no- vamente era ritornata overo nove per la degnità et rarità di soe bellicze. Le braccia etc.: dice che Volcano in- vano faceva folgori, perchè dove era il Lauro non cze poteano folgori. Siciliano: perchè i poeti voleno che la focina de Volcano sia in Mogibello monte de Sicilia. Che a giove etc.: Lo ritorno di Laura ha tolte l'arme cio li folgori a Giove. E soa sorella: cioè Iunone che se interpetra l'ayre se rino- vava cioè doventava chiaro in lo guardo dil sole, perchè il sole era già oscito per vider Laura soa amicissima per me- moria de la soa Daphne conversa in Lauro. Del lito etc.: questo è il ponente, lo quale sempre fa bon tempo e vuol significare per metafora Laura, perchè l'aura vuol dire vento soave et poco, et così è lo ponente in lo tempo de la prima- vera, quasi volendo inferire che era ritornata Laura

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che rasserenava l'ayre. Stelle noyose etc.: questo lo dice perchè tucte quelle cose che erano intravenute ad far mal tempo per la partencza de Laura vuole che per lo suo ri- torno cesseno, et vengano meno quelle lagrime molte etc.. Questo dice per luy che mentre Laura era stata absente have sparse di molte lacrime. Alcuni vogliono inten- dere che Laura fosse stata inferma: per la quale infermità era dovenuta gran tempesta secundo in lo testo se dimostra.

Il figliol di Latona havea già nove[RVF 43]

In questo xxxvi° il nostro poeta descrive come Laura do- po se partio un'altra volta da soa casa et stesse nove dì ad ritornare, onde l'ayre doventò tempestoso come era già da pina stato per la soa partencza. Il figliol di Latona etc.: dice che lo sole che fo figlio di Latona et di Giove havea guardato dal cielo nove volte, cioè erano corsi nove dì per quella, cioè Laura, la quale mosse i soi so- spiri non che fosse questa propria laura, ma Daphne commotata in Lauro per la memoria de la quale amava questa. Et hor etc.: et adesso commove li sospiri d'altruy, cioè d'esso Petrarcha. Poi che cercando etc.: da po che non la possette vedere in lo loco dove solia, cioè in casa soa, mostrosse al mondo come homo molto torbato, cioè col viso trobido et oscuro per li molti novoli che se havea posti incontra il viso. Et così etc.: et così malanconioso stava in disparte, cioè facea luce in altro loco che in Avignone perche in lo dricto de Havignone contra li soi raczi czera molti novoli, per modo che li soi racza non posseano percotere la terra. Tornar no vede etc.: dice che in tucto questo tempo de nove dì non vede tornare Laura et era per pietà cambiato da lucente era dovenuto

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alquanto tenebroso et piangeva un poco, cioè che pioveva. Però l'aer etc.: et per questo, cioè che Laura un'altra volta s'era partita da la propria habitacione, l'aere ritenne il primo stato, cioè che tornao tempestoso come fo in la prima soa partencza quando li segni celestiali pre- sero ardimento in far tempestoso et grave il tempo.

Quel che in Tesaglia hebe le mani sì prompte[RVF 44]

In questo xxxvii° dricza il Petrarcha il suo parlare a Laura mostrandoli per exemplo di Cesare: et de Re Davit pia- tosi de la morte de so inimici essa essere sopra ogn'altra crodelessema per non mostrare segno de pietà verso di luy suo sogiecto. Quel che in Tesaglia etc.: cioè Cesare et tocca la hystoria de la finale battaglia che hebe con Pompeo suo inimico in Tesaglia: dove lo roppe et Pom- peo fugette per salvarsi a Re Tolomeo, suo amico al quale havea facto havere lo reame, et quello per vilità et ti- more di Cesare vittorioso li fe moczare la testa et presentarla ad Cesare, onde Cesare mostrò segnio de pietà perchè pianse. Le man si promte: cioè si animose. Del civi sangue etc.: perchè dall'una parte et dall'altra erano citadini romani et però fo bello civile. Marito di so figlia: Pompeo fo marito di lulia, figlia di Cesare, la quale per isdegno de Cesare lo repudiao. Raffigorato etc.: cioè che cognoscio la testa essere di Pompeo a la forma che era bella. Al pastor che a golia etc.: cioè Re Davit che quando era giovenetto era pastore et amaczao Golia gigante cola fionda con un sasso che li percosse in lo fronte

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[...] Pianse la rebellante etc.: qua tocca la hystoria de Absalon figlio de Re Davit, lo quale sendo inimico et fando gran guerra al patre suo Davit fo da li homini d'arme de Davit amaczato in la battaglia et Davit, quantunche Absalon le fosse inimico, pianse la morte soa. Et sopra il buon Saul etc.: et qua tocca la hystoria de Re Saul inimico et perse- guitatore de Re Davit. Et poi, sendo morto da li falistey, Re Davit pianse acerbamente la soa morte. Onde assay etc.: et perché Re Saul fo ammaczato in lo monte de Gelboe, Davit lo malidisse che may in quello monte cascasse ne rosata ne pro- ducesse fructo. Ma noi etc.: ma voi, Laura, la quale may ve motate per piata di me, vedendome straciare non da una ma de mille morte non solamente dagli occhi vostri è uscita una piatosa lacrima, ma più tosto era contra di me et disdegno. Volendo concludere che se sole havere pietà de una morte de inimici, secundo è dimostrato per Cesare et Davit, et Laura non hebe may pietà del suo amico et servo Petrarcha vedendolo continouamente straciare da mille morte iodicandola per questo sopra ogn'altra fera et crodelissima. [...]

Il mio adversario in cui veder solete[RVF 45]

In questo xxxviii° dricza il suo parlare a Laura lo auctore. Diceli che per vederse tanto bella in specchio s'era tanto de la soa bella forma innamorata che non dignava guar- dar più luy. Il mio adversario etc.: cioè lo specchio in lo qua- le voi Laura solete vedere gli occhi vostri ne inamora lo specchio con le belleze non soe, ma vostre, le quale so più alle- gre et soave che may foro in persona altra dal mondo

About this text

Title: Commento al Canzoniere del Petrarcha di “Francisco Agiapagie”
Author: Petrarca, Francesco, 1304-1374 [Petrarch]; Agiapagie, Francisco [Acciapaccia, Francesco]
Edition: Taylor edition
Series: Taylor Editions: Guest
Editor: Edited by Nicolas Longinotti .

Identification

Paris, Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits. italien 1025

Contents

Manuscript in Italian.

History

Origin

Italy in c. 1467-1473

Table of Contents

Introduction: Commentaries and communities

This partial edition of Francesco Acciapaccia’s commentary (around 1471, Casale Facecchia 1997, 346) on the Rerum vulgarium fragmenta (hereafter RVF) by Francesco Petrarch is an attempt to explore how texts generate cultural communities. As is well known, Petrarch aimed to found a new community that could overcome the supposedly dark Middle Ages by reaching the heights of the idealised worlds of the ancients, both Latin and Greek, in accordance with his own imitation principles. Studying commentaries on his work is a particularly effective way to investigate concretely which different communities gathered around his texts and the ever-changing expectations with which such commentaries were used (Stroppa 2020, 102). Due to this unique characteristic of the exegetical works, recent years have seen a growing interest in their study, with ground-breaking digital tools (the database Petrarch Exegesis in Renaissance Italy), studies (Gilson, Pich 2019; Huss, Pich 2022; Huss, Stroppa 2022) and now a broad project of publishing anastatic reproductions of Renaissance prints (Filelfo 2018; Vellutello 2021) with informed modern introductions. These anastatic editions are, on the one hand, deserving of praise for their respect for the historical material frame around the text but, on the other hand, they may reveal themselves to be less suitable than digital editions for exploration of the synchronic and diachronic entanglement of society and tradition constructed by a text, especially by a commentary. The present work aims to be a first exploration of the possibilities of using digital editions with this second purpose in mind. To do so, this introduction contains some initial annotations about aspects of the entanglement generated by the text and relates them to the part of Acciapaccia’s commentary edited here (to which the number of the folios refers).

Social and literary entanglements

The decisive component of the entanglement can be identified in the commentaries both within and outside of the text. As for the relationships at the textual level, the commentaries on the RVF are particularly concerned with Petrarch’s own macrotextual references within RVF itself, within his oeuvre as a whole (that is, including his Latin works) and, furthermore, with the previous tradition. Since Petrarch’s transtemporal community-building was mainly grounded on his proclaimed principles of imitating the classical past, the investigation of how this aspect was received in the commentaries is certainly crucial to understanding the expectations with which the RVF were read. As for the references within Petrarch's other works, Acciapaccia only refers to Petrarch’s epic Latin poem Africa. However, the commentator seems unsure whether the poem is about the First or Second Punic war (f. 28v and, especially, the erasure on f. 29r). This fact leads us to doubt whether he actually read the poem or he was merely aware of its fame. Petrarch’s references to literary and mythological tradition are dealt with in a comparatively richer way (with a wealth of references to Classical mythology - see places and names below), although it often lacks precise references to specific works (apart from an abstract reference to Livy’s Histories, f. 28v).

As for the relationships that a commentary constructs outside the text, we must first consider that most of the 15th-century commentaries were composed at courts (Pietro Ilicino, Pier Candido Decembrio, Guiniforte Barzizza and Francesco Filelfo in Milan, and Francesco Acciapaccia and Francesco Patrizi in Naples). The exegesis becomes therefore an occasion to highlight aspects of Petrarch’s texts that may be particularly relevant to the commentator’s milieu. In this way, the commentary accomplishes its function of allocating an author and a literary text to the political community in which they could identify themselves (for example, the reference to Roberto d’Angiò, former King of Naples, f. 23r). Moreover, each commentary is composed within a network of previous works on Petrarch that are not always to be interpreted as proper commentaries, but also as other forms of both written and oral exchanges about him (such as biographies but also epistles, dialogues and oral conversations and dissemination of anecdotes). Finally, Petrarch’s possible addressees of the poems are among the passages most discussed by the exegetes (Stroppa 2022, 110).

References to social communities are quite significant in Acciapaccia’s commentary, both to the supposed community of Petrarch identified in the Fragmenta and to the contemporary community of the exegetes. As for the Fragmenta, Acciapaccia identifies specific addressees of Petrarch’s poems such as fellow poets (Boccaccio f. 8v, 9v, Sennuccio del Bene f. 28r) and military and political rulers (e.g. Orso dell’Anguillara f. 27v, Giovanni Colonna f. 10r, 12r, etc.). Moreover, Acciapaccia mentions unspecified friends to whom Petrarch addresses his poems (f. 21r, 21v, 22v, 23r). All in all, Acciapaccia presents his readers with a rather dialogical idea of lyrical poetry, often generated in a social context, that probably reflects the expectations generated by contemporary courtly poetry in Naples. As for the exegetical community, Acciapaccia interprets the poems in reaction to other unspecified exegetes (f. 28v, 30v). Even if in the same years the commentary by Francesco Patrizi da Siena was also composed at the court, the reference to unspecified opinion might be also read as a sort of topos in the commentaries (see Filelfo, but also Decembrio’s biography of Petrarch) to draw attention to the proclaimed innovation of the own interpretation.

Acciapaccia’s aims, public and language

Descended from an ancient noble family, Francesco Acciapaccia was the firstborn of Ladislao Acciappaccia and served at the court of Ferrante I at least between 1467 and 1473 (Casale Facecchia 1997, 243, 245). As with most of the courtiers, Acciapaccia was only a person of letters on the side (Casale, Facecchia 1997, 245). With this cultural background in mind, it is still unclear with what purposes he undertook his commentary and whether he was aware of Patrizi’s work (Casale Facecchia 1997, 252). While Patrizi worked upon a request by the Duke (in British Library Add. ms 15654 , Alfonso of Aragon Duke of Calabria is explicitly mentioned), as he declares in his introduction (for example in the ms. Italien 1026 ), Acciapaccia’s commentary does not present any dedication. This could be due to either a private destination of the work as a personal study on Petrarch’s text (Casale Facecchia 1997, 247) or simply to its status of unfinished draft. The incompleteness is confirmed by numerous signs of re-writings and corrections, such as erasures and numerous additions among the lines or on the margins (just to mention a few from the first folios: 3r, 3v, 6r). Moreover, Acciapaccia also leaves empty spaces to return to later (f. 9v, where he cannot remember Pegasus, f. 28v) and, in other cases, he evidently returns to certain passages at a later stage (f. 22v, with different ink; f. 29v at the end of the gloss about RVF 40; f. 17r, 17v, with the indecision about RVF 17). Finally, Acciapaccia’s work is also conserved only in this manuscript.

Among other purposes, Acciapaccia’s study of Petrarch’s vernacular poems may have intended to take them as a linguistic model. Whereas the allegorical meaning of the text is not completely overlooked, as is evident from the frequent references to circuicione (f. 6v, 7r, 9r, 21r, 24v), metaphoric sense (f. 21r, 21v, 25r, 29r, 30r) and maniera poetica as opposed to literal sense (f. 10r, 21r), Acciapaccia’s attention is mainly focused on a literal interpretation of the text. Short passages of Petrarch's verses are quoted (these are underlined in the manuscript) and Acciapaccia explains them through a sort of expansion and paraphrase. This focus and its possible didactic ambition (Casale Facecchia 1997, 254) are particularly plausible against the background of a multilingual milieu such as that of the Kingdom of Naples under the Aragonese Dynasty (Casale Facecchia 1997, 257). The presence of different linguistic substrata is evident also in Acciapaccia’s glosses that use for example Castilian expressions (versucia, f. 4r, for astuzia; cortiglie for corti, f. 12v). More examples of a regional or somehow lower vocabulary in the commentary are mentioned by Casale Facecchia 1997 (261-262).

Moreover, a tension between a higher level of language (as Petrarch’s Tuscan is arguably perceived by Acciapaccia), and the regional language of the court is noticeable in phonetic traits that carry a significant cultural connotation (Corti 1956, LXV-LXXXIV; Santagata 1979, 97). We will only consider the vocalism in the pronouns and the occurrences of syntactic gemination. As for the first aspect, Acciapaccia mainly uses the Tuscan anaphonetic form noi/y (f. 6v, twice; 7r; 9r, twice; 10r, twice) and voi/y (f. 4r; 13r, three times; f. 13v; f. 15v, three times; f. 28r, three times; f. 28v; f. 31v, twice). However, the regional substratum emerges in the few cases where the pronouns are written with the metaphonic vocalism proper of the south Italian variant (vuy: f. 4r - also in Petrarch's quoted text -, f. 28v; nuy, f. 10v, 11r, 12v).

Finally, also Acciapaccia’s attitude towards the syntactic gemination (which is typical of the south Italian variant) also points out this tension. Acciapaccia always tries to pick the form of article/preposition before a noun with a single consonant. However, there are some cases where the regional substratum emerges (appiè, f. 10r; annoy, f. 6v; dalley, f. 14v; dalloro, f. 18v, 19v; alluy, f. 29v). The case of appiè (f. 10r) is particularly significant because it was first written geminated and only then corrected with the erasure of the second p. Both this correction and the oscillation in the form of the pronouns show not only the work-in-progress status of Acciapaccia’s commentary, but can also be seen as a sign of Acciapaccia’s pursuit of adapting his language to an extra-regional Tuscan standard.

Conclusion

Therefore, drawing attention to Acciapaccia’s commentary means addressing questions of literary circulation and community-building. Both aspects are related to the transformation of the Fragmenta’s elitist character into a work that reaches a relatively broad courtly public (Casale Facecchia 1997, 263). On the one hand, this public was interested in reading the poems as if the author and the lyrical I would almost completely overlap and Petrarch was the protagonist of a sort of courtly romance; on the other hand, the commentary shows the interest in reaching a supposedly higher literary and linguistic level represented by Tuscan literature and by Petrarch figure as the prototype of the modern humanist. In this way, we could say that Acciapaccia and his Neapolitan readers are interested in going beyond a regional system of circulation to reach a wider one. Nevertheless, for these readers, this system is not represented by Latin literature and language itself, but by a supra-regional Petrarchist language that transmits ancient contents in a modern form. Exactly this quality of Petrarch’s work will be one of the key features that will allow the re-enactment of the text in the transtemporal lyrical vernacular community of Petrarchism across the centuries.

Further research is needed to understand how far this attitude anticipates aspects of Bembo’s vernacular manifesto Prose della volgar lingua (first edition 1525). This research would involve also a deeper analysis of Acciapaccia’s language and of the way in which it responds to the tension between a Tuscan extra-regional language and the koiné language of the Neapolitan court. Moreover, other aspects of Acciapaccia’s work need further investigation, such as his biography, the concrete aims of the commentary, the RVF manuscript used and the relationship with other commentaries. With regards to this last aspect, a digital edition of Petrarch's text including the ancient commentaries would be a necessary platform. An enhanced intertextual function (both with Petrarch's text and between the commentaries themselves) would reveal the following more clearly: first, the different reactions to Petrarch's work; and second, the possible connections and the mutual influences between the commentaries (both in an imitative and an agonistic sense). Consequently, it would be possible to analyse the different readings in the light of the different political and cultural contexts in which each commentary was composed and used. In this way, such a comparative digital platform would allow for the unfolding of the multifarious and multifaceted entanglement of the cultural community(ies) in 15th- and 16th-Century Italy.

Acknowledgements

This edition presents research funded by the Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG, German Research Foundation) under Germany’s Excellence Strategy in the context of the Cluster of Excellence “Temporal Communities: Doing Literature in a Global Perspective”—EXC 2020—Project ID 3900608380.

Bibliography

  1. Casale, O. Silvana and Facecchia, Laura. ‘Un (quasi) sconosciuto commento quattrocentesco al “Canzoniere” di Petrarca’. Filologia e Critica, vol. XXIII, 1997, 240–63.
  2. Corti, Maria, ed. De Jennaro, Pietro Jacopo. Rime e lettere. Commissione per i testi di lingua, 1956.
  3. Filelfo, Francesco, Petrarca Francesco. Commento a Rerum vulgarium fragmenta 1-136: edizione anastatica dell’incunabolo, Bologna, Annibale Malpigli, 1476. Michele Rossi, ed. Antilia, 2018.
  4. Huss, Bernhard and Pich, Federica, eds. Petrarchism, paratexts, pictures: Petrarca e la costruzione di comunità culturali nel rinascimento. Cesati, 2022.
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  8. Stroppa, Sabrina, Una famiglia disfunzionale: relazioni incrociate nella comunità dei commentatori petrarcheschi del Cinquecento, in: Huss, Bernhard and Federica Pich, eds. Petrarchism, paratexts, pictures: Petrarca e la costruzione di comunità culturali nel rinascimento. Cesati, 2022, 105-122.
  9. Vellutello, Alessandro and Petrarca, Francesco. Commento a Le volgari opere del Petrarcha: Venezia, G.A. da Sabbio, 1525. Stroppa, Sabrina, ed. Antilia, 2021.

About this edition

This is a facsimile and transcription of Commento al Canzoniere del Petrarcha di “Francisco Agiapagie” / Francesco Acciapaccia..

The transcription was encoded in TEI P5 XML by Nicolas Longinotti.

Availability

Publication: Taylor Institution Library, one of the Bodleian Libraries of the University of Oxford, 2022. XML files are available for download under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License . The images are reproduced from the Bibliothèque nationale de France. The images can be also be found on the Bibliothèque nationale de France website.

Source edition

Commento al Canzoniere del Petrarcha di “Francisco Agiapagie” Italy, , 1467-1473

Editorial principles

Created by encoding transcription from manuscript.

This edition consists of a diplomatic transcription of the first 31 folios of Acciapaccia’s commentary based on the digitisation by the Bibliothèque nationale de France of the manuscript Italien 1025, the only extant testimony of the text. Through this selection should be possible to notice, on the one hand, how Acciapaccia reads the beginning of the lyrical work almost as the beginning of a romance; on the other hand, the selection represents the – at least – two inseparable faces of Petrarch’s figure in Acciapaccia’s work: not only the vernacular love poet and lover himself but also the Latin humanist and rediscoverer of the ancient world (see RVF 40, f. 28v).

The main concern has been of representing the character of a private draft of the commentary with its revisions, additions and erasures. The precise layout of the text on the page (underlined passages, paragraphs, line breaks etc.) has been preserved. Hyphens have been added to indicate the continuation of words across line breaks (e.g. excellent-issimo; giove-necto, f. 3r). The interventions have been restricted to the expansion of abbreviations (e.g. Pa: Petrarcha, with the humanistic h, as transcribed on f. 3r; La: Laura; nō: non; bň: bene; the etcetera often used at the end of the quoted verses), the substitution of ç with z and of j (often in final position) with i. In line with modern usage, the edition has also intervened on capitalization, on the use of accents (Acciapaccia tends to use a comma before and after the accented monosyllable), and on the distinction between u and v. Acciapaccia tends to join monosyllables together or to join a monosyllable with the following word (e.g. dimaggio, laterra, begliocchi, glialtre, f. 11r) and the transcription intervenes here by dividing the two words. The same intervention has been made for prepositions and articles (if written without gemination) and apostrophes have been added according to the modern use where needed (l’arco, un’altra, f. 4r; da l’antica, f. 16v;). Moreover, to elucidate the text, Acciapaccia mainly lists secondary definitory clauses with inconsistent use of punctuation (e.g. Dice il poeta che la soa virtù cioè […] quasi volendo dire che […] honesto appetite et venti: intendeva in lo core dove è la sedia de l’anima in che è […] cioè non dare consentimento a li disviati sensi: perché […], f. 4v, 5r). Interventions (limited to basic punctuation) have been made also to simplify the syntax. Different ways of writing the same word are preserved (for example, in case of different forms for the gemination, e.g. profferto/proferto f. 20v; different forms for the rendering of palatalization and assibilation, e.g. cze stava, ce stava, f. 18r; and in case of toponyms, e.g. Avignone/Avignione/Havignone, f. 29v, 30v). Erasures, as well as marginalia, are not only always transcribed but also encoded as deleted words (cioè altro dì in lo quale […] stracio, f. 6r) and glosses. These include proper glosses with added information (in the lower margin: Quale fo Johan Boccaccio, f. 8v), expansions (on the side: la bella vesta delle terrene membra, f.10r;), and corrections (between the lines: liberale da prima, f. 29r) Where the text was not readable, it has been marked by a gap.